STORIA
IL JUDO KODOKAN
LA LOTTA NELLA STORIA DEL GIAPPONE
Nei primi capitoli della storia di qualsiasi popolo le doti fisiche e l’attitudine al combattimento dei singoli uomini vengono tenute in gran conto. Con il diffondersi delle tecniche di lotta ed il perfezionarsi delle armi, nascono le caste specializzate e privilegiate dei guerrieri: uomini che, necessariamente, professano una filosofia di vita diversa da quella dei contadini, dei commercianti, dei preti.
Quando il progredire dei tempi e delle tecnologie fa superare l’utilità del combattimento individuale, il patrimonio culturale frutto dell’esperienza dei “guerrieri” non decade ma si evolve, si stilizza, si spiritualizza, sottolineando i propri aspetti etici ed educativi, mantenendo così un posto importante in seno all’attività umana.
Le arti marziali giapponesi hanno due grandi vantaggi sulle consorelle di altri paesi: tali vantaggi derivano entrambi dalla singolare storia del popolo giapponese.
Il primo è dato dalla durata del Medioevo giapponese, che si prolunga di 300 anni rispetto a quello europeo, cosicchè il Giappone resta per tutto questo periodo, isolato e chiuso in se stesso e dando modo a tutte le espressioni proprie di questa epoca storica (arte, artigianato, tecnica bellica, filosofia, medicina, ect) di perfezionarsi e svilupparsi più che in qualsiasi altro paese.
Il secondo vantaggio che ci offrono le tecniche di combattimento giapponesi è che il loro periodo di applicazione pratica è terminato da appena circa 150 anni e non è quindi difficile ritrovarne tracce concrete; non vi è stata soluzione di continuità nel tramandare l’esperienza dei grandi maestri del passato da uomo a uomo, fino ai grandi tecnici dei nostri giorni.
Per poter comprendere e valutare il judo e le arti marziali giapponesi è quindi necessario rifarsi sinteticamente alla storia del Giappone prendendo come filo conduttore l’evoluzione della tecnica di combattimento senza armi a partire dal periodo Ju Jitsu No Jidai (1615-1867): peraltro molto usato nei testi specializzati.
epoche |
datazione |
riferimento storico |
chikara-kurabe-no-jidai: epoca delle Prove di forza |
fino al 710 |
epoche Yamato e Asuka Sumai- No-Jidai |
epoca del Sumo |
710- 1186 |
epoche Nara e Heian Yoroi- Kumyuchi-No-Jidai |
epoca del corpo a corpo con l’armatura |
1186-1615 |
epoche Kamakura, Muromachi o Ashikaga, Monoyama |
Jiu-Jitsu-No- Jidai |
1615-1867 |
epoca Tokugawa |
Judo-No-Jidai |
dal 1868 ad oggi |
epoche Meiji e successive |
IL JU – JITSU
Il Ju Jitsu era allora indicato con diversi nomi: Yawara (sinonimo di Ju), Tai Jitsu (molto simile all’attuale judo), Judo (da un’antica scuola: Jikishin Ryu), Wa Jitsu (sinonimo di Tai Jitsu), Tori Te, Koginshoku, Kempo (dal nome della tecnica cinese), Hakuda, Kumiuchi (termine antico per indicare il corpo a corpo dei guerrieri samurai), Shubaku, Koshi No Mawari, ect.
Nell’epoca in cui Jigoro Kano (creatore del judo), si trasferì a Tokyo, e fino a quando il judo non ebbe eclissato ogni altra scuola di ju jitsu, sopravvivevano in quella città una ventina di scuole o “ryu”, alcune delle quali erano veramente originali per la teoria che le ispirava e per la tecnica, altre erano semplicemente un sinonimo commerciale delle più famose.
La scuola più importante di Tokyo e forse di tutto il Giappone era Tenshinn Syn ‘Yo Ryu che contava migliaia di adepti e numerosi maestri, tutti nobilmente accreditati come allievi diretti dei maestri della precedente generazione. Sempre in Tokyo si trovavano i maestri Masaaki Samura di Takeuchi- Ryu, Hansuke Nakamura di Ryoi Shinto Ryu, Tomitaro Isatomi di Shibu-Kawa-Ryu, Keietaro Inoue di Tenshin Shyn ‘Yo Ryu; e scuole minori come Kito-Ryu, Sekygushi Ryu, Toda Ryu, Shinno Shindo Ryu, Asayama Ichiden Ryu, Kyushin Ryu, Arata Ryu, Shimmei Sakkatsu Ryu, ect.
ORIGINI DI TENSHIN SHIN ‘YO RYU – LA FLESSIBILITA’ DEL SALICE
Nel secolo XIX questa scuola era una fusione di tecniche di Yoshin Ryu e Shinno Shindo Ryu. Il fondatore di Yoshin Ryu era stato nel XVII secolo Akiyama Shirobei Yoshitoki, medico di Nagasaki che aveva appreso in Cina la Pao Chuan (in giapponese Haku Tei), alcune tecniche di Kempo, e 28 Kassei Ho (sistemi di rianimazione).
Tornato in patria e professando l’arte medica, mentre contemporaneamente insegnava la lotta (ancora oggi avviene che il maestro di lotta sia esperto di traumatologia), si accorse che il suo metodo non dava dei buoni risultati.
Contrariato dall’insuccesso, decise di ritirarsi in meditazione presso il tempio Temmangu di Tsukushi per cento giorni. Avvenne che un giorno nevicava abbondantemente, e il peso della neve spezzò dei robusti rami di quercia.
Gli occhi di Shirobei Akiyama si posarono allora su un albero che era rimasto intatto. Era un salice. Ogni volta che la neve accumulatasi sui rami minacciava di spezzarli questi si flettevano per liberarsi del suo peso e riprendevano immediatamente la posizione primitiva. Il fatto impressionò vivamente il bravo dottore che intuì il principio della “non resistenza” e lo applicò alla tecnica del combattimento che poi prese il nome di ju jitsu (cedevole arte).
IL PRINCIPIO DEL “JU” IN “JU JITSU”
I concetti del Taoismo, lo Yi-King (libro dei cambi), e i principi positivi e negativi della filosofia cinese, ebbero una considerevole influenza sul jujutsuista del periodo Edo (dall’inizio del XVII secolo alla metà del XIX). Questo si rileva dalle memorie delle varie Scuole.
La Scuola Sekigushi non accentuava nè la morbidezza (o cedevolezza) nè la durezza, ma una combinazione di entrambe. Questo fu il “Ju” sul quale fondavano la loro pratica.
La Scuola Shi –Bu Kawa asseriva che il “Ju” era la morbidezza contro la durezza.
La Scuola Kito, che era a stretto contatto ideologico e pratico con il Kodokan di Jigoro Kano, era basata sui principi positivi e negativi della filosofia cinese. Ciò era riflesso nel suo nome “KI” (che significa sorgere) ed era la forma positiva, mentre “TO” (che significa cadere) era la forma negativa.
I cinesi rappresentavano la forma negativa con “IN” che significa ombra e la forma positiva con “YO” che significa luce. Così il principio della scuola Kito era che l’ombra potesse essere conquistata con la luce e la luce potesse essere conquistata con l’ombra.
La Scuola Tenshin Shin ‘Yo accentuava il significato del “JU” in “sottomesso”: il corpo deve ubbidire alla mente.
Molte spiegazioni del “JU” che si trovavano nei documenti delle antiche scuole di Ju.Jitsu tendevano ad essere troppo astratte o esagerate. Il punto di vista generale è che la spiegazione del “Ju” come è intesa dalla maggioranza è basata su tecniche concrete. Lo stesso Jigoro Kano assunse questo punto di vista più ristretto quando spiegava il principio.
JIGORO KANO – CREATORE DEL JUDO
Jigoro Kano nacque nell’ottobre del 1860 a Mikage, presso Kobe, nel dipartimento Hyogo, terzo figlio di Jrosaku Mareshiba Kano, di pendente militare del governo, in una famiglia di fabbricanti di Sake (distillato di riso moderatamente alcolico, caratteristico giapponese). Il ragazzo era gracile di costituzione ma di grande intelligenza. Veniva soprannominato Nobe No Sake dal nome di un antico e glorioso samurai di piccola taglia.
La sua famiglia vantava amicizie di prim’ordine nelle gerarchie governative o militari. Nella situazione del Giappone a quel tempo si può dire che Jigoro Kano provenisse da una condizione sociale tra le migliori, pur non vantando particolari titoli nobiliari che, d’altro canto, non avevano grande valore in quell’epoca rivoluzionaria.
Praticare il ju jitsu era cosa inconcepibile per un giovane di buona famiglia tanto per l’ambiente quanto per la distrazione in cui poteva incorrere in un momento in cui era essenziale concentrare ogni sforzo verso le conoscenze tecnologiche offerte dalla civiltà occidentale.
A 17 anni (10 Meiji), entrando alla facoltà di lettere dell’università di Tokyo (oggi università di Meiji) poté iscriversi come allievo presso Hachinosuke Fukuda di Tenshin-Syn ‘Yo Ryu, per la raccomandazione del massaggiatore Teinosuke Yagi.
A quel tempo aveva già cominciato da solo a studiare alcuni movimenti di ju jitsu sul pavimento coperto di tatami (materassine per la pratica judoistica) della sua stanzetta di studente, servendosi all’occorrenza di un giovane servitore particolarmente intelligente che un amico del padre aveva scoperto sulle montagne di Amagi nella regione di Izu. Quest’uomo doveva accompagnare Kano dalle prime esperienze fino alla morte, vivendo in pieno l’esaltante avventura del judo. Si chiamava
Tsunejiro Yamada, meglio conosciuto come Tsunejiro Tomita.
Soprattutto all’università Kano era tormentato dai compagni che provenendo in gran parte da famiglie nobili e ricche della campagna, disprezzavano l’eccesso di cultura su modelli occidentali e mantenevano, con la complicità di alcuni professori molte tradizioni rudi e guerriere dell’epoca appena conclusa.
Molti altri giovani praticavano gli sport di importazione americana ed inglese come il canottaggio, il criket, il baseball, il pattinaggio. Kano si distingueva nel base-ball nei giochi di carte, negli scacchi giapponesi e nel “Go”.
Per quanto riguarda gli studi era ben nota la sua perfetta padronanza dell’inglese ed il suo amore per la filosofia cinese ed indiana.
Si narra che il vecchio maestro Fukuda non facesse molti complimenti nell’insegnare il ju jitsu e che tale scuola fu molto formativa per il nostro giovane studente. A quei tempi si fa risalire la prima esecuzione di Kata Guruma da parte di Kano su tale Kenkichi Fukushima, uno studente più anziano di Kano, del peso di 90 kg (Kano era sui 50 kg ) che fungeva da aiuto maestro nel dojo. Per applicare questa nuova tecnica su Fukushima, Kano si basò su una proiezione di ju jitsu chiamata “kino katsugi” che si eseguiva con un ginocchio al suolo.
Quando si dice che un maestro ha inventato una nuova tecnica (come si dirà di Kano per Harai Goshi, di Isogai per Hane Goshi, di Mifune per O Guruma) bisogna intendere che questi ha scoperto o inventato un movimento senza averlo conosciuto prima, nel tentativo di risolvere un problema tecnico di una certa difficoltà, magari con una forma di esecuzione molto personale, giacchè nella secolare esperienza globale del jujitsu, ogni possibilità di attaccare l’avversario è per grandi linee tecniche, già sperimentata.
Nelle vecchie scuole si praticava solo Kata, e non il Randori.
DA JU JITSU A JUDO
Dal punto di vista tecnico formativo Jigoro Kano cominciò a studiare le tecniche dello Atemi Waza e del Katame Waza della scuola Tenshin Shin Yo con i maestri (sensei) Hachinosuke Fukuda, poi con Masamoto Iso. Successivamente si dedicò alle tecniche del Nage Waza della scuola di Kito del maestro Tsunetoshi Jikubo già generale dello shogun esperto di tecniche di proiezione e di kata. L’incontro si rivelerà poi fondamentale per la creazione del nuovo metodo chiamato judo.
Si racconta inoltre che in quel periodo Kano studiasse anche il Sumo, la boxe, la ginnastica e la lotta occidentale, e facesse ricerche sui Densho (i libri segreti delle due scuole avuti in eredità dai sopra citati vecchi maestri) per scoprire nuovi elementi o movimenti applicabili ai combattimenti di Ju Jitsu /Judo, adottando tutte quelle tecniche che si conformavano ai principi scientifici.
Il risultato fu un sistema inteso a soddisfare le richieste della società di quel tempo.
Il “Randori”(combattimento di palestra, libero comporre con il quale il judoka dà via libera alla sua creatività) e il “Kata” (la forma, il modello delle tecniche), così come sono praticati oggi, nacquero durante questo periodo e furono oggetto di studio, discussioni e dibattiti, fino a diventare una forma di esercizio fisico educativo.
Il vecchio Ju-Jitsu non era altro che un insieme di arti di difesa militari, e mentre le tecniche del Judo potevano dirsi le stesse, però in sostanza, diceva Kano, il DO (Via) ne faceva qualcosa di fondamentalmente diverso.
Così, in ultima analisi, la tecnica del judo era incidentale: esso era piuttosto un metodo per trovare la “Via”.
Fu per rendere ben chiaro il concetto che differenziava il vecchio nome dal nuovo, che indusse Jigoro Kano a chiamare il nuovo metodo “Judo”.
“Il Judo è uno sport altamente educativo, formativo e socializzante. Responsabilizza e insegna al rispetto reciproco e permette di acquisire delle ottime capacità di attacco e difesa sia in piedi che a terra”
La parola allo stesso Jigoro Kano:
“Perché lo chiamai Judo invece che Ju Jitsu? Perché ciò che io insegno non è soltanto Ji tsu (arte o pratica). Beninteso io insegno ji tsu, ma è soprattutto sul “do” (Via o Principio) che vorrei insistere.
Al giorno d’oggi è uso comune dire Judo per intendere Ju Ji Tsu, ma prima che incominciassi a insegnare il mio Judo questa parola veniva usata da una sola scuola, la Jikishin Ryu, mentre le altre la usavano solo molto raramente.
Scelsi questo vocabolo per distinguere le mie scuole dalle altre scuole in auge a quel tempo.
La ragione per cui non potevo adottare un nome completamente nuovo è che il Judo Kodokan che insegno ha effettivamente delle visioni più vaste e tecnicamente più complete del vecchio ju jitsu, per cui avrei potuto benissimo scegliere un nome nuovo per battezzarlo, ma dopo tutto è generalmente basato su quanto avevo appreso dai miei Maestri e non avrei potuto, per rispetto a loro, scegliere un nome interamente nuovo.
Vi erano due buone ragioni per evitare la parola ju jitsu: la prima di esse è che molte scuole di ju jitsu si abbandonavano spesso a praticare tecniche pericolose tanto in proiezioni che in leve di gamba e di braccia, e vedendo tali cose molte persone lo ritenevano una pratica tutt’altro che benefica.
In certe palestre gli allievi più anziani picchiavano o facevano picchiare i più giovani e talvolta prendevano loro dei soldi, cosicché l’ambiente del ju jitsu era considerato nocivo alla formazione dei giovani. Io invece volevo dimostrare che ciò che non era affatto pericoloso per il fisico e che giovava all’educazione.
Questo non era del ju jitsu come era spesso insegnato a quel tempo, era del judo, una cosa totalmente differente.
La seconda ragione è che quando cominciai ad insegnare, il ju jitsu era decaduto.
Qualche Maestro si guadagnava la vita organizzando delle compagnie di professionisti che si esibivano e altri giungevano a fare combattimenti truccati con i professionisti del Sumo.
Queste pratiche degradanti prostituivano un’arte che ereditava i grandi valori del passato e mi ripugnavano. Decisi dunque di evitare il termine ju jitsu e per distinguere la mia scuola dal Jikishin Ryu che impiegava lo stesso termine, scelsi il nome di Judo Kodokan per quanto sia un po’ lungo”. (Da una conferenza di Jigoro Kano).
IL KODOKAN JUDO
Allo scopo di approfondire lo studio delle tecniche del suo Judo, e permetterne la divulgazione, il giovane Jigoro Kano, nel 1882, a soli 22 anni, diede vita a un Dojo (palestra o sala di pratica) tutto suo.
Tenendo il concetto della”Via” del Judo come la cosa più importante, e intuendo che il Dojo sarebbe stato un mezzo per insegnare la “Via” egli chiamò il suo Dojo “KO-DO-KAN” in cui KO significa studio, lettura, esercizio DO significa via KAN significa sede,luogo.
Così il suo sistema diventò noto come KODOKAN JUDO e fu un dojo di appena dodici stuoie (tatami) e soli 9 allievi, ospitato in una sala del piccolo tempio Shintoista Eisho nel quartiere Shitaya di Tokyo.
Così sullo sfondo dello storico periodo Meiji ebbe inizio il metodo di lotta giapponese denominato KODOKAN JUDO.
L’attuale judo, deve la sua esistenza alla fede, alla perseveranza e agli eroici sforzi del giovane Jigoro Kano, appena ventitreenne, ed alla attiva e paziente collaborazione dei suoi primi nove allievi. Per concludere il Judo di Jigoro Kano è molto diverso dai vecchi sistemi di autodifesa. Il Kodokan Judo ha tre ampi obiettivi:
– educazione fisica – abilità nella lotta – esercizio mentale
Il Judo, pur essendo un’arte da combattimento, è uno sport e una forma di esercizio mentale basato sui principi scientifici; una “via” di umano sviluppo che può essere compreso da gente di tutto il mondo. Tutto questo è espresso nelle seguenti parole che furono il testamento di Jigoro, Kano: “Il Judo è un mezzo per usare efficacemente l’energia mentale e fisica.
Questo esercizio significa migliorare se stesso fisicamente e spiritualmente attraverso la pratica di tecniche di autodifesa e imparando con l’esperienza l’essenza della VIA”.
Questo dunque è l’obiettivo ultimo del Judo: perfezionare se stessi per essere di qualche utilità nel mondo che ci circonda.
E l’arte marziale si può definire come è un’arte guerriera con alla base un principio filosofico, etico, di vita spirituale.
Jigoro Kano con il judo ha aggiunto un principio educativo.
L’EDUCATORE – JIGORO KANO
La casa di Kano somigliava sempre più ad un pensionato studentesco. Vi erano i giovani di nobili famiglie di campagna che dimoravano presso di lui per portare a termine gli studi classici; altri di estrazione popolare che desideravano imparare la professione di maestri di ju jitsu; infine vi erano cittadini che venivano al dojo richiamati dalla fama di Kano, per imparare il judo.
Nel 1886 venne bandito un grande concorso per l’appalto dell’insegnamento alla Polizia.
Il regolamento di questa gara non ci è stato trasmesso. Sappiamo solo che il Kodokan si aggiudicò l’importante posto di insegnamento, battendo a squadre di 15 concorrenti la rappresentativa di Tozuka- Ryu con 13 vittorie e 2 pareggi. Questa vittoria segna l’entrata del Kodokan nell’olimpo
del ju jitsu e per Jigoro Kano il pieno riconoscimento della bontà del suo metodo.
Nel 1888 Kano fu invitato ad una dimostrazione del suo metodo all’Accademia Militare che aveva sede a Kyoto e si chiamava Butokukai. Questa importante istituzione si andava organizzando in quel periodo, ma raccoglieva le tradizioni delle scuole militari del periodo Tokugawa. Era posta sotto l’alto patronato del principe Fushimi, membro della famiglia reale e sotto la direzione del barone Oura.
Aveva a quel tempo delle sezioni di ken-jitsu, di ju-jitsu, di kyu-jitsu (arco) e di canottaggio e doveva svilupparsi fino ad avere, prima dell’ultima guerra, due milioni di iscritti e sezioni e succursali in ogni piccola e grande città del Giappone e delle sue colonie. In tale sede la dimostrazione di Kano conquistò favorevolmente i vecchi samurai e gli esperti del ju jitsu convenuti, che gli chiesero un valido istruttore per trasformare la sezione del ju jitsu in una sezione di Judo. Con la collaborazione di quei vecchi maestri Kano stese un piano di insegnamento tecnico e mise a punto il Randori- no- Kata (Nage-No- Kata e Katame- No –Kata) che solo l’anno successivo, 22° Meiji, venne introdotto al Kodo-Kan.
Nel 1889 si inaugurò la sezione e luogo di judo dell’organizzazione Butokukai. Nella fantastica sede del Butoku-den, che occupava la metà di un parco nel recinto di un tempio, essa doveva prendere il nome di Buto Semmon Gakko (scuola speciale per professori Bu- Sen) e dare vita a grandissimi maestri.
Nel 1895 Jigoro Kano consultò i suoi migliori collaboratori per la stesura del Go Kyo No Kaisestu, che doveva risultare il documento fondamentale del Nage- Waza ( tecniche di proiezione) del Kodokan. Nel 1921 venne riformato il Go Kyo e nel 1922 fu fondata la società culturale del Kodokan. Vennero lanciate le massime: Jita- Kioei (amicizia e mutua prosperità), e Seiryokuzin’yo (il miglior uso dell’energia). Il Kodokan, pur essendo in continua evoluzione era ormai completo nei suoi massimi principi.
Jigoro Kano si spegneva a bordo della nave Hikawamaru il 5 maggio 1938, di ritorno dal Cairo, dove aveva partecipato ad una riunione del C.I.O. in preparazione dei giochi olimpici del 1940 che la guerra doveva impedire.
Lasciava sei figli: tre maschi e tre femmine.
Il suo grande desiderio dell’ammissione del judo ai giochi olimpici doveva finalmente realizzarsi passando per le seguenti tappe:
– la costituzione della federazione giapponese di judo nel 1948
– l’avvenimento del primo Campionato d’Europa nel 1951
– l’avvenimento del primo campionato del mondo nel 1956
– la vittoria di Anton Geesink nel terzo campionato del mondo del 1961 a Parigi – l’adozione delle categorie del peso
– l’ammissione sperimentale del judo alle olimpiadi del 1964 a Tokyo – l’ammissione definitiva del judo alle olimpiadi di Monaco nel 1972.
IL PRINCIPIO TECNICO
NAGE WAZA
Le tecniche (waza) fondamentali delle proiezioni (nage) si dividono in:
TACHI WAZA che a loro volta comprendono TE (braccia, mani)
KOSHI (anca)
ASHI (gamba, piede)
SUTEMI (sacrificio) che può essere:
MA se chi lancia cade sul dorso, oppure YOKO se si cade sul fianco.
KATAME WAZA (controllo della tecnica):
oltre al TACHI WAZA (tecniche in piedi), il judo comprende il NE WAZA (tecniche alsuolo) che includono in grandissima parte tecniche di controllo (katame waza).
Le tecniche di controllo (KATAME WAZA) si dividono in. OSAE (immobilizzazioni)
SHIME (soffocamenti)
KANSETSU (leve).
UDE WAZA comprendono : UDE
ASHI
OSAE WAZA (immobilizzazione tecnica): l’immobilizzazione consiste nel bloccare a terra con le spalle l’avversario per un periodo massimo di 25”, trascorsi i quali, l’arbitro dichiarerà: ippon!
SHINKEN SHOBU WAZA: è la tecnica del combattimento reale, senza regolamenti di nessun genere. E’ la tecnica che mantiene il legame con la tradizione delle scuole di ju jitsu (vietata nel combattimento sportivo).
Oltre ai principi tecnici sopra esposti vengono inclusi colpi di percussione portati nei punti pericolosi e vitali del corpo umano avvalendosi prevalentemente delle mani e delle braccia (UDE), e dei piedi e delle gambe (ASHI).
IL JUDO OGGI
Il Judo rappresenta una risposta efficace al crescente bisogno di impiego sano e salutare del proprio tempo libero.
E’ noto a tutti peraltro che nonostante la diffusione e la consolidata affermazione sociale ed educativa il Judo sia uno sport confinato ingiustamente a ricoprire ruoli di secondaria importanza nella proposizione alla collettività da parte dei media.
Questo atteggiamento è attribuibile, a mio modesto avviso, ad un’errata conoscenza di questo estratto di un’antichissima “arte marziale”, che per alcuni è uno sport tipicamente maschile e rude, per altri è uno sport caratterizzato da eccessivo fanatismo, associandolo erroneamente a quello che la comunicazione televisiva ci propina ogni giorno; per altri ancora, e sono questi ultimi quelli maggiormente capibili ma non giustificabili, è uno sport che non appartiene alla nostra tradizione sociale e culturale.
Nonostante le forti resistenze che il judo trova nella sua attività di proselitismo, di cui la peggiore è l’indifferenza verso tutto ciò che “non è di moda”, esiste una caratteristica estremamente positiva rappresentata dal fatto che chi abbraccia tale disciplina ne resta coinvolto pressoché per tutta la vita. Nel judo il tasso di pericolosità è estremamente basso, perchè esso è in grado di dare un quid in più rispetto ad altri sport non solo in termini di preparazione atletica e di armonico sviluppo fisico (il judo è uno sport simmetrico, tutte le tecniche si eseguono a destra e a sinistra), o di pura difesa
personale comunque utile ai nostri giorni, ma anche e soprattutto in termini di educazione, di responsabilizzazione e socializzazione dei judoka.
Il judo non è uno sport praticato a livello individuale, anzi il rapporto con i compagni è costante, continuo e indispensabile, venendo così a creare una vera e propria collaborazione.
Colui che scrive non è un fanatico giapponese in cerca di consensi e di nuovi adepti, ma un judoka convinto che il vero messaggio del judo sia da ricercare nella sua capacità di insegnare il rispetto reciproco, la cura del compagno con il quale ci si allena costantemente nelle cadute, nelle tecniche in piedi, a terra e perfino nel combattimento libero; contribuiscono ad un ottimo sviluppo generale, psichico e fisico per tutti, e in modo particolare per i bambini già da 5-6 anni. Ritengo che tutti abbiamo il diritto di sbagliare una volta nella vita, miglior sbaglio non potreste commettere aprendo la porta di una seria palestra di judo con insegnanti qualificati, provocando l’emozione di venire coinvolti in uno sport dai caratteristici “profumi orientali” così poco conosciuto e ancora così molto genuino.
A cura della Fijlkam Comitato Regionale Lombardia Settore Judo – aprile 2002